Alcune aziende scelgono “metodi alternativi” per la prova del futuro agente, inquadrandolo spesso come procacciatore.
Nove su dieci pagano per questa scelta poiché al nostro ordinamento non interessa il nome che le parti danno al rapporto, bensì come e cosa in concreto si svolge.
Il mezzo corretto per capire se stipulare o meno un contratto di agenzia duraturo è l’inserimento di uno specifico patto.
Ci sono dei requisiti da rispettare per non rischiare che il patto di prova venga dichiarato nullo e, l’azienda si trovi di conseguenza a dover corrispondere preavviso e provvigioni che inizialmente riteneva non dovute; i principali:
- la durata del patto di prova deve essere commisurata al tempo strettamente per valutare la convenienza del contratto definitivo. Può arrivare a 6 mesi, salvo deroghe (ben ponderate) dovute alla stagionalità del prodotto o servizio coinvolto.
- la forma scritta è obbligatoria per la prova del patto, non dimenticarsi dunque la firma esplicita dell’agente ( ben diversa dall’accettazione tacita).
- l’ Enasarco è obbligatorio: l’azienda deve comunicare apertura e chiusura del rapporto alla Fondazione e versare i relativi contributi.
Attenzione che il periodo di prova non esclude automaticamente di per sé le indennità di fine rapporto! Il patto di prova infatti agisce sul fattore tempo, “annullando” i termini di preavviso per la cessazione del rapporto o la relativa indennità sostitutiva, non le altre disposizioni di legge!
Diffidate da tutte quelle terribili clausole redatte da persone poco esperte e recitano formule magiche del tipo: “ nel caso di risoluzione del rapporto durante il periodo di prova non sarà dovuta alcuna indennità”.
Il consiglio è di ponderare insieme se e come strutturare il patto di prova dell’agente che avete individuato come possibile futuro collaboratore, cercando di porre del basi corrette per costruire lo sviluppo del mercato ed evitare inutili problemi pratici ed economici determinati da clausole mal configurate.
Dott.ssa Barbara Zanussi